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GOVERNO TENTA DI SANARE GLI ATTI ILLEGITTIMI DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE

C’è chi la chiama norma “salva-funzionari del Fisco”. E c’è chi si spinge fino a ribattezzarla norma “salva-Befera”. Di sicuro all’interno dell’Agenzia delle entrate c’è un problema di non poco conto. Così delicato che si è tentato di metterci una pezza, per ora senza successo, all’interno del decreto legge sul rientro dei capitali detenuti all’estero, predisposto dal ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni e pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale.

Il punto è che all’interno della nostra macchina fiscale ci sono centinaia di funzionari che, sebbene non siano mai divenuti dirigenti a seguito di concorso, firmano atti di accertamento come se lo fossero. Atti che, proprio in virtù di tale vizio, sono da qualche anno entrati nel mirino delle commissioni tributarie, che spesso li annullano. Il tutto creando non pochi problemi alla tenuta delle entrate erariali.

Ebbene, in una delle prime versioni del decreto sul rientro dei capitali era spuntata una norma, per la precisione l’ex art.3, intitolata “funzionari di fatto”. In essa si stabiliva che, proprio “ai fini del consolidamento e della salvaguardia delle entrate erariali, è fatta salva in ogni caso l’efficacia della sottoscrizione degli atti di accertamento emessi dagli uffici dell’amministrazione finanziaria”, purché “sottoscritti dai dipendenti che, per volontà comunque dell’amministrazione, esercitino l’attività di direzione dell’ufficio”.

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Cosa c’è dietro.

Era poi la relazione tecnica a svelare nel dettaglio la ratio nella norma. L’assunto è “che vadano comunque mantenuti fermi gli effetti degli atti compiuti da funzionari la cui nomina, successivamente all’adozione degli atti stessi, possa essere risultata viziata sotto il profilo procedurale”. Ovvero esattamente quello che è accaduto ai funzionari di fatto delle Entrate.

Di più, perché la stessa relazione tecnica della prima versione del provvedimento ribadiva “la necessità di salvaguardare le entrate erariali a fronte di eventuali controversie di legittimità formale della preposizione agli uffici dell’amministrazione finanziaria dei relativi dipendenti”. Alla fine, però, nella versione definitiva del decreto legge 4 del 2014, pubblicato ieri in Gazzetta, questa norma è scomparsa. E quindi è venuta meno la sanatoria per gli atti di accertamento fiscale firmati da funzionari non direttori.

Ma vista la posta in gioco, fanno notare gli osservatori più attenti, la questione verrà riproposta appena possibile. Del resto la vicenda affonda le radici almeno al 2011. In quell’anno il Tar del Lazio ha dato ragione a un ricorso della Dirpubblica (Federazione del pubblico impiego), che ha portato a individuare ben 767 dirigenti nominati senza concorso su 1.143 attivi alle Entrate. Una decisione che ha aperto una voragine all’interno della quale si sono infilate le commissioni tributarie.

Anche il governo Monti, con il decreto legge 44 del 2012, ha cercato di sanare la situazione, salvaguardando in un passaggio la qualifica dirigenziale dei funzionari che di fatto non ne avevano il titolo. Norma che, dopo tutta una serie di ricorsi e controricorsi, adesso è addirittura finita all’esame della Corte costituzionale. Insomma, un autentico ginepraio. Che risale almeno al 2000, anno di partenza delle Agenzie, quando molti “funzionari di fatto” venivano usati come dirigenti senza concorso.

I timori del governo.

Il problema, quindi, risale anche ad epoche in cui i vertici dell’Agenzia delle entrate erano diversi, ma poi si è sviluppato e adesso la patata bollente è in mano ad Attilio Befera. Con un rischio che mette paura ai vertici del Fisco, ossia quello del danno erariale. Perché un atto di accertamento illegittimo non solo mette a rischio le entrate, ma è illegittimo proprio per una disfunzione del vertice amministrativo che ha nominato dirigenti dei funzionari senza concorso.

Il tentativo di sanare la situazione”, ha detto ieri a La Notizia Giancarlo Barra, segretario generale di Dirpubblica, “è una chiara ammissione di colpevolezza”.

(Fonte)

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