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Il DDL appena varato, approvato "salvo intese" (ovvero passibile di modifiche prima di iniziare l'iter parlamentare), introduce il licenziamento per motivi economici. Qualora il giudice dovesse ritenere il provvedimento dell'azienda illegittimo il lavoratore non potrà essere reintegrato in azienda ma riceverà un indennizzo di 15-27 mensilità tenendo conto dell'ultima retribuzione. Il governo si è impegnato a prestare particolare attenzione per evitare abusi da parte delle imprese.
Diviene possibile anche il licenziamento per motivi disciplinari, se un giudice stabilisce che l'azione è illegittima, in questo caso è prevista la possibilità di reintegro o una indennità tra 15 e 27 mensilità in base all'anzianità.
In caso di licenziamenti discriminatori resta il diritto al reintegro per tutti, a prescindere che l'imprese abbia più o meno di 15 dipendenti.
Questo particolare è importante al pari dei due casi di licenziamento sopracitati, perchè l'articolo 18 in vigore fino ad oggi, varato nello Statuto dei Lavoratori del 1970, prevedeva il diritto di reintegro solo per le imprese com più di 15 dipendenti.
Il costo sostenuto dal datore di lavoro in caso di vittoria del lavoratore sarà svincolato dalla durata del procedimento e dalle inefficienze del sistema giudiziario.
Per evitare processi lunghi è prevista l'introduzione di un rito procedurale abbreviato per le controversie in materia di licenziamenti, che ridurrà ulteriormente i costi indiretti del licenziamento.
Le modifiche apportate a questa parte dell'articolo 18 possono, dunque, essere interpretate con neutralità e, in linea di massima, essere condivise da tutte le parti sociali. Non si accontenta nessuno per non scontentare tutti, questo è il principio ed è rispettato dall'introduzione di due casi d'uscita e di un più generale principio di diritto d'entrata.
In uno Stato dotato di sistema legislativo e giuridico funzionante, questo DDL renderebbe il mercato del lavoro più flessibile di quello attuale, ma nel nostro caso c'è da fare i conti con la lentezza del sistema giuridico e dei processi. Insieme con la responsabilità civile per i magistrati, questo DDL doterebbe i lavoratori di garanzie sufficienti ad un più snello mercato del lavoro.
La corte di cassazione ha emesse una sentenza che si preannuncia molto importante per i futuri rapporti tra contribuenti ed Equitalia: in effetti, secondo la Corte di Cassazione, il cittadino può avere diritto a conoscere il contenuto esatto della cartella esattoriale invece che il semplice estratto. L’associazione Noi Consumatori, da sempre avverso alla società di riscossione, ha provato a spiegare cosa è successo in questo caso.
Nel dettaglio, non si parla praticamente mai delle sentenze giuridiche che riguardano la società partecipata dall’Agenzia delle Entrate e dall’Inps, ma a fine settembre la condanna contro Equitalia meritava più attenzione, dato che è stato previsto l’annullamento di migliaia e migliaia di cartelle, per un importo totale di 400mila euro. Il motivo consisteva nella poca chiarezza delle motivazioni del pagamento.
In effetti, la società di riscossione si era limitata a inviare il già citato estratto a ruolo. Di cosa si tratta esattamente?
Questo documento non è altro che l’elenco di tutte le somme di denaro cui ha diritto l’Erario: il ruolo è il tipico mezzo della riscossione coattiva, ma questo vuol dire che nessuno fino ad ora aveva controllato le cartelle complete e integrali. La stessa Noi Consumatori ha parlato di una sentenza “storica”, ma davvero la vita dei contribuenti diventerà più semplice?
Equitalia ha avuto i suoi meriti, ma anche le sue pecche, dunque è giusto pagare in caso di errori, proprio come in questo caso: la speranza è che da oggi in poi vi possa essere più trasparenza e chiarezza quando si richiedono delle somme così importanti, altrimenti si rischia di penalizzare ulteriormente i cittadini con una pressione fiscale esagerata.
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